13 gennaio 2020

FUGA DEI CERVELLI DAL SUD: CAUSE E RIMEDI - LA PAROLA AD ALDO AVETA

GRUPPO DI LAVORO “SOCIALITA’ URBANA E DINAMICHE DEMOGRAFICHE”

2017 - 2021

Coordinatrice: Dott. Ing. Veronica MAIO

Vice Coordinatore: Dott. Ing. Fabio ROMANO

 

 

Il Gruppo di Lavoro della Fondazione Ordine Ingegneri Napoli, SOCIALITA’ URBANA e DINAMICHE DEMOGRAFICHE intervista il professor Aldo Aveta ordinario di Tecniche di Restauro e già direttore della Scuola di Restauro.  

 

INTERVISTA AL PROF. ING. ALDO AVETA

CHI E' - Il prof. ing. Aldo Aveta, classe 1948, specializzato in restauro dei monumenti, Ordinario di Restauro architettonico f.r. dell’Università di Napoli Federico II è stato Direttore della Scuola di Specializzazione in Beni architettonici e del Paesaggio dal 2010 al 2017.

E’ autore di importanti pubblicazioni in tema di restauro e valorizzazione del patrimonio culturale della Baia di Napoli, del centro storico UNESCO di Napoli e dei suoi più significativi monumenti.

 

DOMANDA
La popolazione residente in Italia, a dicembre 2016, era pari a 60.589.445, con una perdita di 76.106 persone rispetto a dicembre 2015 (-0,1%), con forti diminuzioni, a livello territoriale, nel Mezzogiorno.
Prosegue, dunque, il trend negativo iniziato nel 2015, che aveva segnato la prima diminuziose dal dopoguerra, determinato da flussi migratori che non riescono più a compensare il calo demografico dovuto ad una dinamica naturale negativa (-142.000 unita’). Trend confermato anche per il 2017 dalle stime Istat sulla popolazione che, al 1° gennaio 2018, sarebbe pari a 60 milioni 494 mila residenti, quasi 100 mila in meno rispetto al 2016 (-0,2%), con un saldo naturale fortemente negativo (-183 mila).
La diminuzione della popolazione, nel 2016, riguarda fondamentalmente la componente italiana (-97.000 residenti) soprattutto i giovani e sarebbe stata ancora più accentuata se non fosse stata controbilanciata dalle acquisizioni di cittadinanza italiana di una parte sempre più ampia della componente straniera (+202mila). Quali azioni vanno messe in atto e cosa non è stato fatto dalla classe dirigente meridionale?

 

RISPOSTA

Mi si pongono delle domande molto complesse, che ruotano intorno al tema: come arginare la fuga dei cervelli dalle regioni meridionali? Le risposte sono legate alle mie esperienze quarantennali in ambito accademico e professionale, nel settore del restauro del patrimonio culturale. Un angolo visuale direi specialistico, ma comunque utile ad interpretare criticità e potenzialità del contesto che determina tale fenomeno.

In particolare, i dati statistici evidenziano ormai da anni un trend negativo, una situazione grave caratterizzata dalla fuga di capitale umano dalle regioni del Sud.

La principale responsabilità di quanto sta avvenendo, a mio avviso, non è solo legata all’inadeguatezza della classe dirigente meridionale, e aggiungerei della classe politica, ma anche delle politiche, o meglio delle mancate politiche per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia.

La classe dirigente - ovvero noi, intellettuali, professionisti, accademici, industriali, costruttori, ingegneri, architetti, sindacati, associazioni, ecc. -  non ha saputo o non ha voluto interloquire con spirito critico, ma costruttivo, con i decisori politici e non ha svolto quella funzione fondamentale che, dalla fine dell’Ottocento ai primi decenni del Novecento, essa aveva, e che ha consentito di raggiungere importanti risultati per lo sviluppo delle comunità. In sostanza, la classe dirigente, in Campania e nelle regioni del Sud, non ha svolto quella funzione essenziale di stimolo, di pungolo, nei confronti dei decisori politici i quali hanno espresso, con palese evidenza, tutta la propria incapacità programmatoria e gestionale. Basti citare la scandalosa condizione di Bagnoli, a quaranta anni dalla dismissione dell’industria siderurgica, che rappresenta una vergogna a livello europeo per l’intero nostro Paese.

La diminuzione della popolazione italiana e, dunque, il trend negativo delle nascite registrato negli ultimi anni è legato alle precarie condizioni del contesto economico e sociale: i giovani e i meno giovani non sono affatto invogliati a creare una propria e nuova famiglia, a mettere al mondo dei figli in quanto lo Stato italiano, diversamente da altre nazioni europee – e citerei in proposito la Francia e l’Irlanda -  “adottano” le giovani famiglie e si prendono cura e carico dei loro figli, non solo con consistenti incentivi economici, ma seguendoli durante l’intero processo di sviluppo e formazione fino alla maggiore età. Dunque, le giovani coppie in tali Paesi trovano servizi pubblici diffusi ( orari scolastici lunghi, navette per l’accompagnamento a scuola, ristorazione di qualità, ecc.).

Orbene, esistono responsabilità precise dello Stato – che non possono essere cancellate con il recente “bonus bebè“ - e degli Enti territoriali delle regioni del Sud, che poco o nulla fanno per risolvere i problemi di diversa natura delle giovani coppie. Dunque, i risultati in Italia non possono essere diversi e le statistiche ce lo confermano.

DOMANDA
Secondo il recente Rapporto OCSE “Preventing Ageing Unequally” nel 2050 ci saranno 74 persone ultrasessantacinquenni ogni cento persone di età compresa tra i 20 e i 64 anni: l’Italia diventerà il terzo Paese più "vecchio" al mondo dopo Giappone e Spagna. E dunque: come arginare la fuga di cervelli?

RISPOSTA

Direi che vada posta, a questo proposito, una domanda aggiuntiva: perché i giovani e più brillanti laureati emigrano al Nord e nelle altre nazioni europee?

Per il semplice motivo che lì trovano un lavoro adeguato alle loro aspettative in rapporto all’impegno formativo profuso nelle aule universitarie al Sud, nonché facilitazioni di ogni genere che consentono loro di vivere in una dimensione a misura d’uomo, e dunque con una qualità della vita che nelle regioni meridionali resta un miraggio.

Mentre al Sud essi sono ignorati e abbandonati dallo Stato e il Governo continua sulla strada dell’assistenzialismo spicciolo che non risolve i problemi, nelle altre nazioni sono previsti ausili economici per la casa, servizi di ogni tipo, insomma condizioni di vita del tutto diverse che invogliano a stabilirsi nei contesti non di origine.

Né si può ignorare, poi, che al Sud la meritocrazia non è di casa, prevalendo diffusamente logiche clientelari che non premiano i giovani di valore. Tanti allievi che ho formato nel Restauro nelle facoltà di Architettura e di Ingegneria, nonché nella Scuola di specializzazione in Restauro mi scrivono dall’estero: le loro competenze, acquisite negli anni  universitari e post-universitari, sono molto apprezzate ed essi hanno trovato subito occasioni di lavoro allettanti, con piena dignità, mentre qui avrebbero dovuto penare per anni sfruttati in qualche studio professionale.

Eppure l’Italia, e in particolare il Mezzogiorno, è ricca di uno straordinario patrimonio culturale, storico-artistico, architettonico, archeologico, paesaggistico, nonostante le speculazioni edilizie del periodo post-bellico. Patrimonio la cui tutela, restauro, valorizzazione potrebbero rappresentare fattori strategici per lo sviluppo economico e sociale, oltrechè culturale. Dovrebbero però cambiare le condizioni del contesto urbano e territoriale: il solo restauro di un monumento non determina occupazione durevole e miglioramento della qualità della vita delle comunità se non associato a corretti processi di rigenerazione urbana.

Si parla oggi di consumo suolo pari a ZERO: eppure percorrendo strade e città del Sud si continua ad assistere alla cementificazione selvaggia, abusiva o meno. Si parla meno del processo di desertificazione del territorio: nelle regioni meridionali esistono moltissime situazioni critiche di centri storici abbandonati o semiabbandonati. I giovani si allontanano per mancanza di lavoro e il territorio si degrada. L’agricoltura è in crisi e lo Stato sembra ignorare tali processi che portano a lungo andare a forme diverse di dissesti idrogeologici. Mancano leggi di indirizzo a livello nazionale sia per i centri storici sia per gli incentivi adeguati a far decollare forme avanzate di agricoltura.

Un altro argomento critico è quello dei fondi europei per il restauro, che vengono spesi male e in percentuale irrisoria. L’incapacità gestionale di tali fondi contribuisce a determinare la mancanza di lavoro per i giovani professionisti, laureati o diplomati: a Napoli basta riferirsi alla anomala utilizzazione dei fondi per il centro storico e per la Mostra d’Oltremare, per avere un quadro impietoso della situazione.

DOMANDA
Appena dieci giorni fa Gaetano Manfredi, attualmente Ministro all'Università e alla Ricerca, esprimeva tutta la sua contrarietà sui mancati stanziamenti per università e ricerca. Come docente dell'Università Federico II e past direttore della Scuola di Restauro lei conosce bene le necessità di un settore che soffre da anni e quel miliardo in meno, rispetto alle richieste dell'ex ministro, risulta sicuramente dannoso per i giovani ricercatori, invogliati così a lasciare il Paese. Come crede che il Ministro Manfredi possa intervenire per porre attenzione sulla ricerca che, come noto, è in grado di creare sviluppo ed economia per l'intero Paese?

RISPOSTA
Formazione e ricerca sono pilastri fondanti per lo sviluppo di una nazione. Trascurare tali settori, che soffrono di asfittici finanziamenti, almeno a partire dalla tristemente famosa legge Gelmini, significa non credere e non agire per lo sviluppo della nostra nazione, che pure tra mille difficoltà esprime ricercatori di valore internazionale.

Garantire innovazione e internazionalizzazione – indispensabili nel settore Università – dovrebbe manifestarsi assicurando fondi adeguati per acquisire attrezzature innovative, manutenere ed aggiornare le dotazioni dei laboratori, favorire il turn over e l’ingresso delle nuove leve di ricercatori, consentire agli studenti fuori sede e stranieri un adeguato alloggio durante gli anni universitari, e così via.

 

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