"Ingegneri, società, territorio: parliamone con ...": prosegue lo spazio di informazione e di confronto voluto dalla Fondazione Ordine Ingegneri Napoli, che intende aprire un dialogo con istituzioni, università, mondo produttivo e professionisti anzitutto per fornire ai colleghi ingegneri indicazioni e informazioni utili al loro lavoro e allo sviluppo di nuove opportunità professionali. E' uno spazio aperto e "in progress" che ci auguriamo continui ad arricchirsi dei contributi e dei suggerimenti di tutti coloro che seguono la Fondazione e le sue attività, soprattutto attraverso il sito della Fondazione stessa.
ECCO UN NUOVO APPROFONDIMENTO SUL TEMA: “RECUPERO DELLE AREE INDUSTRIALI DISMESSE: OPPORTUNITA’ E PROSPETTIVE”
Introduzione a cura di Paola Marone – Presidente Fondazione Ordine Ingegneri Napoli
La Giunta Regionale della Campania, su proposta del Presidente della Regione e dell'Assessore alle Attività Produttive, ha approvato alla fine del 2016 l'indicazione delle Aree di crisi industriale non complessa, ai sensi del DM 4/8/2016, per realizzare programmi di investimento finalizzati alla reindustrializzazione, alla ripresa occupazionale e allo sviluppo economico dei territori interessati. Con questo provvedimento sono state dichiarate Aree di crisi non complessa quelle corrispondenti al 50% delle aree candidabili, per un totale di 2.955.968 abitanti.
I criteri indicati dal Ministero per lo Sviluppo Economico erano legati ai Sistemi Locali del Lavoro, che sono stati selezionati dalla Giunta Regionale sulla base del peso comparato del numero di addetti alle attività manifatturiere, delle superfici destinate alle attività produttive e del grado di dinamismo del tessuto industriale localizzato nei singoli territori. Allo scopo dell'individuazione delle aree industriali è stata effettuata una ricognizione puntuale, avvalendosi di una prima elaborazione e mappatura realizzata dalla Direzione Generale Attività Produttive e del sistema informativo territoriale. In questo modo è stato possibile scegliere, sulla base di criteri oggettivi, le aree territoriali che, seppure in crisi, presentano un tessuto produttivo in grado di accogliere nuovi investimenti industriali e di esprimere proposte di intervento in linea con le finalità del decreto ministeriale. Il provvedimento adottato dalla Giunta Regionale contiene tutte le principali aree industriali della Regione. Il conseguimento di questo obiettivo è stato possibile grazie alle integrazioni ottenute nazionalmente dalla Regione Campania, che hanno permesso di limitare alle sole sezioni di censimento delle Città Metropolitane il calcolo della popolazione e di avere altre due flessibilità nell'ambito dei Sistemi Locali del Lavoro.
Ora la sfida è recuperare ad attività produttive le aree dismesse: un’opportunità per il rilancio dell’occupazione, per il rilancio dei servizi di progettazione, per il settore delle costruzioni, oltre che un’occasione di business per gli investitori. Si sono aperti scenari in cui imprenditori e professionisti sono ben decisi a giocare con autorevolezza un ruolo da protagonisti.
ED ORA LA PAROLA ALL’INGEGNER AMBROGIO PREZIOSO, PRESIDENTE CONFINDUSTRIA NAPOLI
1) Ingegner Prezioso, quali sono i requisiti di partenza che possono rendere interessante il recupero di un complesso industriale?
A prescindere dall’importanza in sé dell’intervento di recupero, l’elemento prioritario che deve avere il complesso industriale è quello di essere inserito in un contesto “adeguato”, dove ci siano cioè infrastrutture, materiali e immateriali, e che sia facilmente accessibile in termini di parcheggi, servizi di mobilità e mezzi di trasporto su gomma e ferro.
2) Che cosa possono insegnarci le esperienze realizzate finora nella zona Orientale di Napoli in tema di recupero e riuso di complessi industriali? Quali i punti di forza e quali invece gli errori da evitare?
Uno dei principali punti di forza dell’area orientale è proprio l’accessibilità, grazie alla sua vicinanza alla Stazione centrale ferroviaria di Piazza Garibaldi, alle altre fermate della metro e della Circumvesuviana, all’aeroporto di Capodichino, al Porto e alle autostrade. Napoli Est ha il pregio di trovarsi nel centro della città e, allo stesso tempo, essere baricentrica rispetto alla provincia di Napoli. Sono caratteristiche distintive fondamentali per qualsiasi attività economica che voglia trovare una collocazione. Non a caso nell’area di San Giovanni è stata realizzata negli ultimi tempi una “agopuntura urbana”* di successo con gli insediamenti della iOS e della Cisco Academy. Più che di errori da evitare, parlerei piuttosto della assoluta necessità di delocalizzare i depositi petroliferi presenti nell’area e che ormai da trent’anni attendono una nuova collocazione.
3) Quali sono a suo giudizio le nuove tipologie di uso più interessanti alle quali possono essere adibiti gli ex edifici industriali?
Tutte, direi, come dimostra l’esperienza positiva di Brin69 a Napoli Est: dal residenziale agli alberghi, dal retail al terziario e ai laboratori di ricerca e biotecnologie e così via. La rigenerazione urbana ha un ruolo fondamentale nelle politiche di sviluppo territoriale, quasi irrinunciabile alla luce delle nuove sfide da affrontare fondate sulla sostenibilità. Può rimuovere condizioni di degrado, riammagliare agglomerati urbani e integrare sistemi infrastrutturali. Le nostre città hanno centri storici cristallizzati e periferie cresciute a dismisura negli anni ‘60 e ‘70 spesso senza alcuna qualità urbana. Bisogna ripensare questi luoghi mettendo le persone al centro, considerando una adeguata mixitè con residenze, commercio, terziario, funzioni di eccellenza, moderne funzioni produttive.
4) Come sta rispondendo il mercato a questo tipo di interventi, sia a Napoli che in altre città italiane?
A Milano il mercato risponde alla grande e subito: basta vedere gli importanti, continui e rilevanti interventi di rigenerazione urbana che si stanno realizzando. A Napoli la risposta è comunque positiva, anche se un po’ più lenta. Brin 69, ad esempio, è ormai un complesso pienamente utilizzato.
(*) L'agopuntura urbana è una pratica urbanistica di ispirazione “biopolitica” che utilizza la metafora dell'agopuntura[1], pratica della medicina tradizionale cinese, per designare il carattere locale dei propri interventi. L'agopuntura urbana – o "biourbana" , visto che si rivolge al sistema complesso della città come fosse un organismo – si contrappone alle modalità industriali e "calate dall'alto" dell'urbanistica tradizionale, ispirata da Le Corbusier. Questa strategia individua con l'osservazione a terra i luoghi dove scorre la reale vita della città, spesso distinta da quella profilata dai pianificatori o dalle leggi di mercato. Le linee guida per gli operatori vengono fornite ad esempio dal modo di vivere realmente lo spazio da parte dei bambini che giocano; da eventi come un mercato clandestino; dalla presenza di resilienze naturali. Tali luoghi divengono terreno fertile per l'innesto di progetti sostenibili, il cui scopo, come gli aghi utilizzati nella pratica dell'agopuntura, è quello di apportare maggiore autenticità, migliore vivibilità e senso di benessere all'intero corpo della città. Nata dalle teorie dell'architetto e sociologo finlandese Marco Casagrande, questa scuola di pensiero rifugge i grandiosi progetti di rinnovamento urbano in favore di un approccio a livello locale in grado di coinvolgere la comunità, per fornire, anche in un frangente di ristrettezze economiche e di risorse limitate, un rifugio urbano a chi abita la città. (fonte: Wikipedia)